Balayage e disperazione


Sono dal parrucchiere, mentre scrivo queste note. Ma non uno di quei parrucchieri cut&go da cui andavo anni fa, all'inizio, da expat squattrinata, giusto per dare una spuntata nell’attesa di andare da quello "vero" in Italia.

Vuoi che l'età mi abbia reso più esigente - il che include anche la necessità di "certi" trattamenti che anni fa non mi servivano - o disposta a spendere più di 12 euro; vuoi anche che tra pandemie e ferie comandate andare dal parrucchiere a Milano sia diventato più difficile. Insomma, tra una cosa e l'altra, mi capita di andare da parrucchieri "normali" qui ad Amburgo.

Non sto a elencare le differenze tra i parrucchieri italiani e quelli di qui per evitare un racconto in sei volumi.

Oggi ho fatto una richiesta un po' elaborata: il balayage. Il balayage o shatush, o coloring o degradé è una tecnica di “schiarimento dei capelli ottenuto per decolorazione di piccole ciocche.” (Fonte: Dizionario Italiano online La Repubblica).

E mentre sono seduta alla postazione, da dietro la mascherina osservo in diretta la crisi di nervi della ragazza che da un'ora mi sta stendendo il colore.

Passo indietro. Io ho una montagna di capelli. Non sono particolarmente belli, setosi o voluttuosamente s-composti come nella pubblicità Pantene. Sono semplicemente tanti. E questa roba, qui, un minimo mi contraddistingue (leggere qui per credere). Fa allungare le mani alle colleghe benevolmente invidiose sotto i loro capellini finissimi. Fa girare lo sguardo, alle volte. E fa andare fuori di testa parrucchieri e parrucchiere.

Ho talmente tanti capelli, che quando il/la colorista arriva a metà chioma, il tempo di posa è scaduto. Sia il mio, sia quello della cliente arrivata tre quarti d'ora dopo.

Ho talmente tanti capelli, che dopo il taglio chiamano i mercanti di tappeti iraniani perché con quello che resta per terra scatta pure il business. E ho talmente tanti capelli che la ragazza russa che mi sta dipingendo una a una le ciocche, ha appena tirato un sospiro di sconforto, ha chiamato in soccorso la sua collega e si è messa a smadonnare in russo - mi si perdoni il termine poco elegante usato qui a fini assolutamente scientifici. Io il russo non lo parlo ma quella dello smadonnamento, specie se femminile, è lingua universale.

Cosa provo, come mi sento?  

In Italia, quando mi fanno il balayage, non mi sento "chissacosa". Magari mi compiaccio di dare alla parrucchiera una sfida da vincere, un obiettivo da raggiungere, un risultato da portare a casa. Quindi provo al massimo entusiasmo e partecipazione.

Qui provo senso di colpa, pietà, dispiacere. E anche un po' di cinismo.

Eh sì, perché oggi per esempio, la colpa è sua, non mia. Io ho adottato tutte le precauzioni, già da quando presi appuntamento sei settimane fa: - Taglio e balayage, kein Problem, ti infilo giovedì sera che ho uno slot di un'ora e mezza.  - Fidati, mettimi quando hai taaaanto tempo perché ne avremo per almeno 3 ore, sicher!

Anche oggi, appena arrivata: - Vi consiglio di preparare il doppio della tinta e di concentrarla molto perché ho davvero tantissimi capelli e pure spessi. E di avere tanta pazienza.

Lei è partita sorridente e spensierata, troppo. E dalla concentrazione da meditazione trascendentale - se una sa chiamare il balayage in quattro modi diversi vuol dire che due riviste di moda le ha lette, capace che qualche pretesa ce l’ha - è passata alla noia, per approdare poi alla disperazione. Soprattutto quando ha realizzato che per quella “spuntatina” ci avrebbe messo almeno un’ora.

Aspettando il risultato finale, tremo all'idea di pagare il conto che sarà da svenimento (rispetto all'Italia i prezzi sono parecchio elevati anche perché si basano su lunghezza e, sì, quantità). Però già rido immaginando il prossimo appuntamento, quando le ragazze del salone litigheranno tra di loro o si daranno malate pur di non dover lottare con la mia montagna di capelli.