In Italia sono una persona normale.
Nel mio metro e sessantaquattro rappresento un’altezza
media. I miei capelli sono i normali capelli di una che sta per infilare la
chiave nella serratura dei quaranta: un po’ sfibrati nei periodi di stress,
regolarmente adornati da qualche bordo scintillante, non sempre curati, lisci e
pettinati come dovrebbero.
Anche se forse un po’ più esuberante, il mio carattere in
Italia è normale, una normale vivacità con normali periodi di scazzo - per
dirlo con una parola normale. Anche il mio modo di vestire può considerarsi
normale, forse con una piccola fissa per il nero, fatto di abbinamenti basic
armonici, senza strafare. E sì, forse mi differenzio per alcune cose, tipo questa
ossessione dello scrivere alimentata dalla presunzione di saperlo fare meglio
di altri, ma anche in questo sono ben vicina alla normalità. E anche il mio
nome, Maria Chiara, sarà forse un po’ lungo, non sarà un nome super diffuso ma
è un nome normale che si compone di due nomi normalissimi.
Una persona normale insomma, con un aspetto normale, che
fa cose normali.
Eppure, qui, io non sono normale.
Qui sono bassa, “piccola”. Quando si fanno foto di gruppo
vengo sempre prelevata e mandata in prima fila perché quelli normali stanno
nella fila centrale, quelli alti nell’ultima. Qui i miei capelli vengono
venerati manco fossero una reliquia, generano invidia tra le colleghe, ansia da
prestazione tra i parrucchieri. “Du hast so schöne dicke Haare” - i tuoi
capelli sono meravigliosamente spessi. Il mio carattere è temperamentvoll,
pieno di temperamento, particolarmente espansivo, e se perdo le staffe o se
sono nei già citati normali periodi di scazzo, allora sono troppo emotiva, a
tratti instabile.
E lo stile! Se dal punto di vista della scrittura ho dovuto
rassegnarmi a essere quella che scrive male, che ha sempre bisogno di qualcuno
che rilegga e corregga, quando si tratta di stile nel vestire, invece, volo
molto alto. Perché qui abbinare in modo sensato una camicia casual a un
maglioncino di lana del Benetton e a uno stivaletto senza fronzoli è già
abbastanza per essere ritenuta una "sempre ben vestita” – le mie amiche di
Milano, come vado vestita io al lavoro, non ci vanno nemmeno al mercato rionale.
E se poi siamo nel serale, con un velo di trucco e un vestitino un po’ fru-fru,
allora vengo subito infilata nel cassetto delle fashioniste.
Il mio nome poi. È qualcosa di talmente esotico che viene
storpiato in tutti i modi possibili e immaginabili - Maria Ciara, Maria Kira,
Maria Shira... Tant’è che io qui, in Germania, ho deciso di sbarazzarmene, di
diventare soltanto Maria. E così, rinunciando al mio nome, ho ufficialmente dato
via una parte di me stessa.
E su questo punto mi permetto di mandare la mia sentita
solidarietà a tutti i Paòlo, Davìde, Elèna e a tutti gli sfortunati che mettendo
piede in terra tedesca, hanno di fatto peso il proprio nome. Un pensiero particolarmente
compassionevole va agli Andrea, che soffrono più di tutti gli altri perché non hanno
perso il loro nome bensì qualcosa di ben più intimo e personale: hanno perso il
loro genere sessuale diventando (spesso) Frauen, signore – un ragazzo
che conosco ha addirittura ricevuto un invito in uno studio ginecologico per
fare il pap-test.
Unico vantaggio in questa che può tranquillamente essere
considerata la triste storia di una perdita d’identità, è che io, Frau Gambini,
qui ad Amburgo, per il solo fatto di essere italiana vengo automaticamente
considerata una da cui valga la pena farsi invitare a cena. E già vedo Roberta,
Valeria, mia mamma, mia sorella, zie ed ex colleghe rotolarsi dal ridere mentre
leggono queste ultime righe. Perché se c’è una cosa per cui sono nota tra chi
mi conosce, oltre al dire un sacco di cavolate, è che se si viene invitati a cena
da me conviene portarsi il cibo da casa. Quando si fanno le feste “ognuno
porta qualcosa”, mi sento sempre dire di non preoccuparmi, «davvero, c’è un ben
di dio che basta e avanza». Ma non qui. Qui Frau Gambini tra i tedeschi (solo
loro ovviamente), è quella che in cucina dispensa consigli utili e la prima da
cui i colleghi vanno quando hanno bisogno di qualche ricetta o di qualche
dritta su ristoranti.
Quindi è vero: io non sono normale. Ho solo dovuto e potuto cambiare prospettiva.