Cari lettori
d’oltre cavolo, come avete iniziato l’anno nuovo?
Io alla grande
- anzi, alla stragrande considerata l’enorme circonferenza del mio punto vita.
Sono tornata al lavoro dopo le vacanze di Natale e dopo 5 giorni sono entrata
in maternità. Direi che non poteva andare meglio.
Con questo
post vi racconto un pochino come funziona la maternità in Germania, evitando
confronti con l’Italia non avendo mai avuto figli in Italia. Ovviamente si
tratta della mia esperienza piuttosto felice. Spero però che anche altre mamme
e donne d’oltre cavolo siano state fortunate quanto me.
L’annunciazione.
Le prime 12
settimane assolutamente vietato dire qualcosa, con la scaramanzia non si
scherza. Ma quando la linea della paura è superata e le rotondità iniziano a
farsi notare, è il caso di andare dai capi e dirlo. Per la prima gravidanza non
ho praticamente dormito una settimana prima di annunciarlo. Chissà come
reagiscono... Poi un giorno, senza pensare, piombo nell’ufficio del capone e
gli dico in un fiato “ich bin schwanger!”. “Oh mein Gott!!!”... questo si alza
dalla scrivania, mi corre incontro e mi abbraccia felicissimo (manco fosse
figlio suo). Congratulazioni a non finire. “Ma ti rendi conto che starò a casa
1 anno dal lavoro?” - “Un anno, e che sarà mai! Poi ho visto che le donne
quando tornano da 1 anno di maternità sono più organizzate, più motivate, più adulte...
è una cosa bellissima!”. E da lì attenzioni mai ricevute prima. Per esempio a
una cena di lavoro il servizio era lentissimo e il capo è andato a lamentarsi
che non può essere che una donna incinta debba aspettare così tanto!
Secondo giro,
seconda sorpresa. Tre anni dopo arriva il giorno di dirlo. Anche stavolta,
senza organizzare grandi riunioni, chiedo al capo e al suo vice di venire un
secondo in ufficio. “Ho un annuncio da fare” - “Oh nooooo, ti prego, non dirci
che hai trovato lavoro da un’altra parte!”. “No, peggio: è in arrivo un altro
bebè”. E anche stavolta la reazione mi lascia interdetta: la prima mezz’ora
vengo tartassata di domande su come l’abbia presa il crucchino nr. 1, su come
sto, se ci sono differenze rispetto alla prima gravidanza. Poi rassicurazioni
“si sopravvive anche con 2, guarda noi, anzi diventa tutto molto più facile,
ecc. ecc.”. Poi però il capone ha un attimo di lucidità e dice “Scheiße... ma
torni, vero?” - “Sì, però stavolta starò a casa un pochino di più... ma non tre
anni, promesso”. Allora tutto bene, che problema c’è, felicitazioni,
congratulazioni e attenzioni.
(Cavolo, poi
mi raccontano che a C a Milano hanno fatto firmare le dimissioni in bianco. E
che il capo di S, a Genova, non le ha più parlato per un anno...)
La protezione.
Una volta
annunciata ufficialmente la gravidanza si entra nel programma di protezione
delle mamme, il cosiddetto “Mutterschutz”. Da quel momento faccio parte di una
categoria protetta. Mi arriva da compilare un modulo che assicuri che le mie
condizioni lavorative non siano troppo pesanti. Mah, un lavoro da ufficio che
pesantezza potrebbe avere? E invece: “c’è nel Suo edificio una stanza relax?” -
Sì, a pensarci bene sì. “C’è la possibilità di muoversi e di fare pause durante
l’orario di lavoro” - Ovvio, fosse anche solo andare a prendere le stampe
dall’altra parte dell’ufficio. “La scrivania è ergonomica?” Boh! Lascio in
bianco. Due giorni dopo suona il telefono: “Signora, lei non ha risposto alla
domanda sull’ergonomia della scrivania, fissiamo un appuntamento e mandiamo un
esperto a controllare....” - Esagerati! Deve essermi sfuggita, è ergonomica, lo
giuro!
Quando mancano
6 settimane alla data X la mamma è praticamente obbligata a rimanere a casa. Se
alla prima gravidanza mi sembrava un tempo enorme, stavolta ho visto che le 6
settimane servono tutte. Si è in Mutterschutz fino a 8 settimane dopo il parto.
A livello di stipendio, la mamma percepisce il 100%.
La retribuzione.
La legge
tedesca consente alle mamme di restare lontane dal posto di lavoro per i primi
3 anni di vita del bambino. Dopo il Mutterschutz si passa all’Elternzeit e i
soldi che si ricevono si chiamano Elterngeld e corrisponono al 67% dello
stipendio netto. Per averli bisogna recarsi in un ufficio apposito chiamato
Elterngeldstelle con un plico di documenti tra cui rientrano le ultime 13 buste
paga (se avete bisogno di informazioni più dettagliate scrivetemi, che sono già
nel vortice della burocrazia). L’Elterngeld viene dato per max 14 mensilità a
famiglia, a seconda che uno o entrambi i genitori prendano un congedo.
Praticamente, se è solo la mamma a stare a casa, può avere l’Elterngeld per max
12 mesi. Se invece sta a casa anche il papà, allora i mesi diventano 14 e si
possono prendere un po’ a testa (minimo 2!), oppure parallelamente - come
abbiamo fatto noi nel caso del nostro Viaggio d’oltre cavolo nel 2011. Ci tengo
a precisare che non per forza il tempo più lungo spetta alla mamma: l’obbligo
di stare a casa per la donna riguarda solo le prime 8 settimane dopo il parto,
quindi volendo il papà può prendersi un anno intero di congedo (e qualcuno che
l’ha fatto l’ho conosciuto davvero). Inoltre c’è la possibilità di spalmare
l’Elterngeld su 24 mesi invece che su 12, avendo così un minimo di entrata se
si sceglie di stare a casa dal lavoro 2 anni. L’importo massimo dell’assegno è
1800 euro mensili. Anche chi non lavora ha diritto ad un assegno da 300 ero.
Inoltre se in famiglia c’è un altro figlio di età inferiore ai 3 anni, è
previsto un piccolo bonus di 75€ mensili. E, meraviglia delle meraviglie,
durante l’Elternzeit si può lavorare per un massimo di 30 ore, anche come
freelancer, anche per altri datori di lavoro, e il guadagno viene scalato dall’assegno.
Il terzo anno di Elternzeit invece non è retribuito (a meno che non si lavori).
Se si rimane a casa tre anni dal lavoro è certo che ci sia un lavoro ad
aspettare la mamma. Quello che non è certo è che sia esattamente la stessa
posizione. È più facile a farsi che a scriversi, lo garantisco.
La decisione.
Una settimana
dopo la nascita del bambino si è tenute a mettere per iscritto e in modo
vincolante quanto tempo si vuole rimanere a casa e dare più meno già
un’indicazione di come sarà il rapporto di lavoro una volta tornate, cioè
quante ore al giorno e per quanti giorni alla settimana. “Ma io che ne so di
come sarà con un bambino?” - dico al mio capo scettica nel 2010. “Probabilmente
non potrò più lavorare a tempo pieno, cosa devo fare, cambiare il contratto?”.
E lì il capo mi blocca... “ma che cambiare il contratto, scherzi! Mettiti in
maternità 3 anni. Il primo lo fai a casa con l’Elterngeld, gli altri due li fai
lavorando qui 30 ore, il massimo consentito dalla legge. Il contratto non ti
viene modificato in modo irreversibile e sei intoccabile”. E così ho fatto. E
una volta scaduta la maternità nr. 1, dopo 6 settimane sono entrata in
maternità nr. 2.
La
riflessione.
Ora sono a
casa e il mio lavoro è aspettare il mio bambino, non affaticarmi, dormire
(parola che se non ricordo male sarà impronunciabile nelle prime settimane di
bebè), ristudiare la casa perché l’arrivo di un inquilino in più non comporta
necessariamente l’allargamento dello spazio a disposizione. Ho anche
ricominciato a frequentare l’ora delle balene (qui). E mi chiedo: quanta
civiltà c’è in tutto ciò? Vivere in un Paese e in una situazione in cui avere
un figlio non significa fare un dispetto a qualcuno, in cui ci si sente protetti
e speciali perché si mette al mondo un nuovo cittadino - e come disse
l’idraulico: “meno male che voi giovani fate figli, se no a me chi me la paga
la pensione?”.
Cosa sono in fondo un anno o due di pausa rispetto a 40 anni di
lavoro? E poi: questo lavoro è davvero tutto tutto tutto? O è soltanto un mezzo
per poi godersi la vita vera che sta al di fuori di uffici, aziende, agenzie e
sale riunioni?
E parlo da una
condizione spudoratamente privilegiata, soffrendo per molti amici sottocavolo
che non hanno nemmeno il lusso di poter avere pensieri simili ai miei.
E scrivo in un
momento in cui qui si discute della possibilità di creare più flessibilità sul
lavoro anche per i papà (http://www.zeit.de/wirtschaft/2014-01/teilzeit-dgb-vaeter-familie)
in modo che il lavoro dipendente si possa sposare meglio con il
“Familienarbeit”, il lavoro di famiglia e che le condizioni uomo-donna siano
bilanciate.
E mi chiedo
ancora: arriveremo mai in Italia a qualcosa di simile?