I 3 problemi principali di chi sa una lingua straniera (troppo) bene


Quando si va a vivere all’estero, uno degli aspetti in assoluto più problematici è la lingua. Non si capisce niente, non restano in mente i vocaboli, non si riesce ad esprimersi, ci si sente rozzi e ignoranti, sembra di non essere accettati, eccetera eccetera eccetera.
Ma la si impara, prima o poi, l’altra lingua. Basta impegnarsi, studiare, evitare di stare solo con italiani, buttarsi a parlare e chissenefrega delle figuracce… è possibile insomma arrivare ad un livello davvero molto alto.
Chi pensa però che una volta imparata bene la lingua nuova i problemi linguistici finiscano, si sbaglia di grosso! Perché quello che si guadagna nella lingua d’arrivo, lo si perde drammaticamente nella lingua di partenza. Se poi si considera che l’avanzare dell’anzianità dell’espatrio viaggia parallelo all’aumento dell’età anagrafica - che nel mio caso particolare significa logoramento della memoria e rincoglionimento generalizzato - allora sì che la situazione si fa complicata.

Io credo di saperlo bene il tedesco - me ne vanto pure un po’... Vado spedita e sono in forma con lessico, grammatica e sintassi.
Certo, si sente che non sono madrelingua e, anzi, il mio accento italico me lo tengo bello stretto visto che fa tanto simpatia e temperamento mediterraneo. Capita però ancora, purtroppo, che nei momenti che contano e in cui bisogna reagire al volo e in modo brillante - per esempio uno scazzo con qualcuno - non riesco ad esprimermi a livello pari e, per quanto il concetto che voglio proferire sia profondo, convinto, ben costruito (un vaccagare motivato e sentenziato) alla fine la frase sembra detta da un bambino di quinta elementare. E arrivederci credibilità.

Cosa succede però alla propria lingua madre? Com’è in generale la questione della lingua all’estero? In questi anni sono riuscita ad individuare i tre problemi linguistici più diffusi che ci si trova in bocca in una situazione medio-lunga di espatrio.

1) “come si dice in italiano?”
Sapere talmente tante parole nell’altra lingua da riuscire a capire e a raccontare tutto. Gli articoli scandalistici del Gala, colori di ogni sfumatura, erbe spezie granaglie, burocrazia, diplomazia e assicurazioni, modelli di business, tecniche di parto plurigemellare. Senza confondere neanche una consonante. Peccato che se poi si tenta di spiegare nella propria lingua un concetto semplice che si è appreso nell’altra, ecco che ogni tre parole e due ehm scatta la domanda “come si dice in italiano?”.
- Io so raccontare la gravidanza solo in tedesco, dice C.
- Io non saprei cambiare una gomma in Italiano, confessa P.
Demenza linguistica, oblio lessemico.
La parola tedesca viene in mente prima di quella italiana. Si prova a tradurre dal tedesco all’italiano e si precipita in un vuoto lessicale.
Certo, entrando in contatto con abitudini e tematiche nuove, si imparano anche nuovi vocaboli nella lingua madre e alcune cose che non si sapeva nemmeno che esistessero nel proprio Paese, ad un tratto cominciano ad avere un nome.

2) Impossibile a dirsi
Una deviazione della prima problematica è data dal fatto che certe parole (tedesche) sono impossibili da tradurre. Non solo perché non c’è una parola corrispondente ma, soprattutto, perché a non esistere è proprio il concetto stesso. Quindi tanto vale evitare la fatica di trasporle - ci vorrebbero quattro paragrafi e ogni tre parole scatterebbe il “come si dice in italiano?” - e ficcarle nel discorso così come sono. 
Funziona benissimo quando si chiacchiera con altri italiani espatriati, raccontando per esempio che si è stressati perché ci si sta Bewerbando oppure che l’Anmeldung è andata a buon fine.
C’è anche il problema inverso e cioè che in tedesco non ci sia una parola che rende un concetto così bene come in italiano - per esempio la parola “pirla”. Il mio consiglio? Usatela in italiano e non state a tedeschizzarla (in Pirlen) - loro non la capiranno comunque ma almeno per voi la ricchezza di significato non si perde.  

3) L’interferenza
Una giornata tipo: parli in italiano con i bambini appena sveglia, in tedesco con le maestre all’asilo, in inglese al lavoro, scambi due parole in un misero olandese con il collega figo, leggi un articolo in spagnolo che anche se non si capisce tutto l’importante è il senso, mentre le colleghe parigine, con cui parli in tedesco, chiacchierano tra loro in francese tutto il giorno.
Poi la sera ti metti a parlare a tavola con tuo marito che, dopo averti ascoltata per un quarto d’ora, riesce finalmente a interromperti facendoti notare che stai parlando in inglese. Ah, forse mia madre al telefono non era molto loquace perchè le parlavo in tedesco invece che in italiano? 
L’interferenza nel groviglio delle lingue è talmente grave che si passa da una all’altra senza nemmeno accorgersene.
Poi c’è un’interferenza più sottile, subdola, dispettosa. Quella che fa costruire le frasi in italiano come se esse tedesche fossero, quella che fa dimenticare certe h negli scambi scritti con i collegi  e quella che fa leggere tasce al posto di tasche e chiamare tasche non solo le taschen ma anche la ehm ehm, come si dice in italiano? Ah già: borsa.

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