Se le persone si portassero dietro una valigia piena delle parole che meglio le descrivono o ne narrano l’esistenza, per me una di queste sarebbe Ohrwurm.
Il dizionario del corriere lo traduce con “tormentone”. Altri con “melodia molto orecchiabile”.
A me piace pensare che la traduzione letterale abbia a che fare con l’orecchio e con un verme (anche se in realtà potrebbe non essere così dato che nel significato zoologico di Ohrwurm i vermi non sono previsti – si veda sotto). Chi nella parola Ohrwurm vede chiaramente un verme, allora sarà d’accordo con me nel sostenere quanto il corrispondente italiano non renda affatto giustizia al significato figurato che il termine tedesco trasporta lungo le sue consonanti e le sue vocali.
La parola “tormentone” mia fa venire in mente la classica canzone estiva che da novità radiofonica diventa una rottura, che solo a sentirla viene voglia di scappare dalla spiaggia – se non fosse che ovunque, da Milano Marittima a Taormina, la si sentirà risuonare nei bar, nei ristoranti, nelle cartolerie e pure dal ferramenta. Un tormento appunto. E nel tormento non c’è niente di bello, nemmeno se la melodia è “molto orecchiabile”.
Non sono solo le canzoni pseudo latinoamericane o il rap di Lambrate a entrare nelle orecchie, almeno nel mio caso che, capirete leggendo, è disperato. Spesso sono le canzoni che cantavamo con la mamma o il jingle di una pubblicità ben riuscita. La sigla di un anime diseducativo o una hit di Dj Parade numero cinque. Un mostro sacro del rock o un successo anni Novanta con coreografia annessa. Il classicone storico di una band britannica o un super trash italiano che ti prende proprio quando non vuoi. Una canzone portata a casa dall’asilo o una novità finto-techno che è saltata fuori per sbaglio dall’autoradio passando da una stazione all’altra.
La canzone entra nell’orecchio senza un motivo preciso. All’inizio il verme è piccolo, solo il ritornello, magari due versi; poi si ingrossa, il ritornello si completa e si passa a una strofa. Le parole non sono ancora tutte lì, ma il verme ha fame e si nutre di ricordi, note sparse, rime che si ricostruiscono da sole nella memoria uditiva. A volte solo dopo ore e ore di canticchiamenti viene in mente come cavolo si chiama la canzone che mi passa per la testa da quando ho pigiato sul tasto del latte macchiato stamattina alle sette.
Poi la canzone è completa, titolo – strofa – bridge se c’è – ritornello e così via. I più se la ripetono in testa o la mormorano a labbra serrate, i disagiati come me cantano a voce piena per strada credendo a quella strana teoria per cui le cuffie, coprendo i rumori della strada, coprono anche quelli che escono dal proprio corpo. Un minuto diventa un quarto d’ora e senza che ce ne si renda conto veramente si va avanti per mezza giornata. Finché lo si acchiappa, il verme, forse perché un raggio di lucidità ha colpito l’orecchio come una lampada a infrarossi, o forse perché qualcuno ha fatto giustamente notare che ho rotto.
E a quel punto, una volta afferrato, il verme si contorce. La testa si allontana, diventa meno udibile nell’orecchio. La coda, invece, dà una spinta in avanti e si fa sentire FORTISSIMA nei timpani. La canzone si distorce nell’orecchio fino a dare fastidio. Ora bisogna solo liberarsene del tutto. Sì, ma come?
Quella scuola di vita che è internet illustra vari metodi.
C’è chi consiglia di trovarsi un contro-Ohrwurm, metodo che per me sarebbe fatale perché poi avrei un verme per orecchio con tutte le cacofonie che la sovrapposizione di due canzoni comporta.
Altri consigliano di sentire la canzone fino alla fine, suggerimento che con me non funziona perché se do alla canzone un corpo sonoro al di fuori della mia testa, il verme si ingrossa ancora di più.
Io ho pure sperimentato una tecnica tutta personale che consiste nell’ascoltare solo la base della canzone, con il risultato che da un Ohrwurm innocuo è venuto fuori un Karaoke Party di tre ore.
Alla fine ho capito che l’unica cosa che funziona davvero è accettare di avere un cervello bacato come una mela da un verme. E per fare degli Ohrwürmer virtù, dal 2018 li raccolgo tutti in una playlist annuale su Spotify. Alla fine dell’anno me l’ascolto, come oggi, ridendo, piangendo, tornando a quei momenti e chiedendomi come cavolo mi sia potuto entrare in testa un Ohrwurm del genere.
L’angolo della grammatica.
Ohrwurm è un sostantivo maschile – articolo der.
Il plurale è Ohrwürmer.
Zoologicamente parlando l’Ohrwurm è una forbicina o forfecchia. Questo robo qui insomma:
Non rispondo di eventuali danni e ore di canticchiamenti!