Devo avere davvero una faccia stupida se la faccia con cui vengo ricambiata è così carica di perplessità.
- Scusa, non so davvero il perché ma
ho sempre pensato che a fare questo genere di lavori fossero gli
uomini.
E mentre trasformo la mia espressione
in parole mi sento stupida proprio come la mia faccia faceva intuire.
- Non sei l'unica, tranquilla. Sai
quante volte mi capita di arrivare sul posto e i clienti mi chiedono
se il collega è in ritardo.
E chi si aspetta che una ragazza poco
più che ventenne faccia quel mestiere? Se fino a un minuto fa mi
avessero chiesto di tracciare il ritratto di quel tipo di
professionista avrei sicuramente descritto un uomo quarantenne
imbruttito dalla mediocrità di birra scadente e format televisivi
sciacquapensieri.
Invece lei sorseggia una birra
artigianale nel suo look hipster collaudato su Instagram, un corpo
minuto e la sicurezza di chi fa scelte consapevoli.
- Immagino che tu sia abituata a vedere
di tutto?
- Sì, in effetti è un lavoro che ti
porta a entrare nelle case e a parlare con chi ci abita – sorride
senza nascondere un certo imbarazzo.
Parlare di lavoro durante il weekend è
una pratica che andrebbe multata ma quando mai mi è capitato di
avere una conversazione del genere finora? O quando mi ricapiterà –
parla la speranza di non aver bisogno di certi servizi. Quindi
continuo il mio interrogatorio:
- Qual è la “cosa” più schifosa
con cui hai avuto a che fare?
- Non saprei – e mentre ci pensa
finisce con un sorso profondo la sua bottiglia di birra IPA.
- Immagino che sia quando per esempio
un cadavere è rimasto per vari giorni, hai presente? Poi perde i
liquidi e si formano le larve. Ecco, questo in effetti fa abbastanza
schifo. Però ho su una mascherina e spruzzo una roba che agisce
subito, in mezz'ora è fatta.
L'espressione che ho in faccia ora mi è chiarissima, come se me la sentissi
premere sul viso. Per fortuna ho ancora un sorso della mia Kellerbier
per spezzare il disagio. A rompere il silenzio, invece, ci pensa
lei: - Comunque per me il problema non tanto è lo schifo. A quello
ci si abitua anche piuttosto in fretta. Solo che per me ogni volta,
cadaveri o no, è un problema di coscienza, una lotta con me stessa
capisci?
No, non capisco.
- Spesso anche i clienti me lo
chiedono: soffriranno? Sentiranno qualcosa? Cioè capisci che io alla
fine li uccido. E questo mi lacera perché io, in realtà, non vorrei
ammazzarli.
Ecco che dopo essere rimasta
ipnotizzata dalla conversazione, riprendo coscienza di dove sono, di
dove sta avvenendo questo incontro surreale: al festival vegano di
St. Pauli. E anche se vegana non lo sono proprio per niente, anzi il
seitan lo aborro, i conti cominciano a tornare.
- Da vegana, sarà il conflitto interiore, o forse
che mi sento giudicata dalla domanda, ma io ogni volta mi butto a far
polemica, è più forte di me. Avvisto un pacco di salame e attacco:
“Guardi che Lei è peggio, ammazza un animale per farsi un panino,
sceglie di mangiare carne ben sapendo che ci sono gli allevamenti di
massa eccetera eccetera”.
- Beh, tra macellare un animale per
nutrirsi e ammazzare uno sciame di vespe per fare disinfestazione non
c'è esattamente molta differenza, non credi? Alla fine sempre
animali sono.
- La differenza è che io lo faccio con
coscienza. E con strumenti all'avanguardia.
In fondo il suo lavoro lo adora e ne
parla con entusiasmo, orgoglio e senso d'appartenenza alla ditta. In
questo settore ci è arrivata per caso, ovviamente. Prima era nella
moda, un lavoro da ufficio. Si era stufata in fretta e
aveva iniziato a guardare altrove, facendo la barista in
un locale vegano per continuare a mantenersi. Poi una conoscenza tira
l'altra, e dal cappuccino di soia era passata all'amministrazione di
una ditta di disinfestazione. Pochi mesi e subito la rivelazione: il
problema in passato non erano tricot e pumps ma scrivanie, computer e
routine. Visti i disastri con i conti, il capo ci aveva messo poco a
capire che la ragazza era portata per le stragi e sarebbe stata
perfetta per l'azione - sul campo a combattere vespe, zanzare, mosche, ratti. In
soli tre mesi di formazione aveva guadagnato un membro d'assoluta
eccezione nella sua squadra di disinfestatori e derattizzatori. Se
non fosse stato per quel problema di coscienza, che all'inizio la
faceva tornare indietro dagli interventi con l'espressione cupa di
chi si sta addossando le colpe del mondo.
- Comunque ormai ho imparato a
convivere con questo problema. O quasi. Diciamo che quando ci sono di
mezzo i ratti io cerco sempre di salvarne qualcuno, facendolo uscire
dalla porta prima di spruzzare. Vai piccolino, corri fuori, sei
libero! - e mentre lo dice libera l'aria davanti a se e ride, meno
imbarazzata di prima.
- Mica che ti licenziano se fai così –
interviene il suo ragazzo, fin'ora assorto nel suo Vöner.
- A noi non interessa che muoiano. A
noi interessa che non tornino più.