Really really bad…

Ach du Scheiße”, ecco la prima frase che esce dalla bocca di Sven appena accende la radio stamattina. “Chissà cosa ho dimenticato/rotto/combinato stavolta” – penso io. E invece l’esclamazione non ha niente a che vedere con me. “Michael Jackson ist tot” dice Maren alla radio. Non ci posso credere, sono senza parole, come mezzo mondo del resto. La notizia mi ha fatto invecchiare di botto. Ora nascondere i capelli bianchi con la tinta non ha più senso. E posso rassegnarmi a quella rughetta sulla fronte. E posso anche lasciar vegetare la cellulite sui fianchi. Con lui se ne va la gioventù mia e di molti miei coetanei. Di colpo il ricordo va all’atrio del secondo piano della scuola media Colorni, Via Paolo Uccello, Milano. Io e Soad impazzite per Michael Jackson, con tanto di allenamento giornaliero durante la ricreazione per imitare alla perfezione il passo moonwalker. Frementi di attesa alla notizia che avrebbero trasmesso su Italia 1 il concerto in diretta da Bucarest. Ho obbligato i miei a guardarlo con me. L’ho registrato e ho chiesto a parenti vari di fare altrettanto per avere una copia di sicurezza. Ho guardato talmente tanto la videocassetta che le immagini si sono sbiadite; la tonalità delle canzoni si è storpiata a tal punto che non rientra più nel sistema temperato. “Ma cosa ti piace tanto di lui” – chiese mia madre. Cosa si può dire di Michael Jackson? Non potevo mica dire “è bellissimo!”. Non era di certo il sex symbol alla Kim Rossi Stuart e non aveva neanche l’occhio languido di Scialpi. “Mamma, Michael Jackson ha una voce magnetica, e guarda che presenza scenica, e senti che groove”. Mia mamma sconvolta che dalla bocca di una dodicenne potesse uscire cotanta recensione. Mamma. Il ricordo nostalgico di una ragazzina che si chiudeva in camera con la sua prima chitarra classica yamaha a cercare ad orecchio gli accordi di Black or White mandando avanti e indietro il mangianastri. Mamma. Che urlava “adesso abbassa!” a un'adolescente che cantava a squarciagola “We are the world, we are the children” in una lingua sgrammaticata che non sapeva neanche fosse inglese. Mamma. Che mi mandava a letto di corsa quando stavo le sere intere a giocare al Sega Master Sistem II dopo aver passato settimane a convincere Patruno a prestarmi il giochino di Moonwalker. Mamma, di colpo sono arrabbiata con te, i sentimenti sono gli stessi di 15 anni fa, quando non mi hai lasciato andare al concerto al Forum di Assago e che, come magra consolazione, mi hai giusto accompagnato a vedere la statua piazzata e lasciata là per l’occasione.

Torno in me, torno al presente.
Dicono che sia morto per un infarto. Non può essere. Una morte così ordinaria per il re del pop. Non ci credo. Vi prego, ispettori, commissari, CSI di tutto il mondo, fate ricerche, tirate fuori la verità! Fatemi credere che si tratti di un complotto internazionale. E se doveste avere problemi con la mafia russa allora cambiate strategia.


Michael Jackson è stato assassinato.

Johnny, diciottenne della periferia di Los Angeles, 10 anni fa era un amico di Michael Jackson. Andava sempre sulle giostre della tenuta Neverland. Poi sono arrivate le accuse di pedofilia, si è scatenato lo scandalo. I genitori di Johnny, mamma Claire e papà George, se lo sono andati a riprendere in un pomeriggio piovoso, non l’hanno mai più fatto tornare da Michael, l’hanno rinchiuso in una campana di vetro cercando di non fargli mai più sentire il nome “di quel pervertito”, di non farglielo vedere “manco in foto”. Ora Johnny è cresciuto. L’odio per i suoi genitori è cresciuto nel silenzio, si è radicato a fondo nel suo cuore. Ha aspettato tanto Johnny. Poi ha aperto il suo primo conto corrente. Non ha scelto una banca qualsiasi. È andato volutamente in quella banca che regala una pistola a chi deposita lì i suoi primi dollari. E così, lucidata e caricata l’arma, ha ucciso i genitori. Si è vendicato di avergli rovinato l’infanzia. Ora può tornare tra le braccia del suo amico e idolo, potrà risalire sull’altalena rossa di Neverland. Sa dove abita Michael. Ma quando entra nella sua camera e lo vede, deperito, ridotto a una maschera mostruosa, Johnny perde la testa. “Sono io, sono il piccolo Johnny”. Ma Michael non si ricorda più di lui. E così Johnny tira fuori la pistola dal giubbotto di jeans e spara.