Azzurro


Cerco l'estate tutto l'anno
e all'improvviso eccola qua. 

Sì, perché solo al 19 di agosto l’estate ha pensato di venire a trovare i poveri amburghesi.  E in modo deciso, passionale, rovente. Siamo arrivati a 34 gradi, dai 23 scarsi di due giorni fa. Perché ad Amburgo le mezze misure non esistono. O Antartide, o Africa. Non mi permetto di lamentarmi dell’afa di questi due giorni perché 1) era ora 2) non voglio portare sfiga 3) martedì si torna comunque punto e a capo.

Lei è partita per le spiagge
e sono solo quassù in città,
sento fischiare sopra i tetti
un aeroplano che se ne va.

Sono sola questo weekend al nord. Sven se n’è andato per lavoro in Ammmerica. Non in giro per spiagge ma per conferenze. Fa lo stesso. Sono sola con il crucchino e abitando non lontano dall’aeroporto, li sento davvero gli aerei che passano sopra le nostre teste. 

Sola.
Una parola che fa ancora più effetto quando non c’è nessuno con cui pronunciarla. Non mi ricordo più l’ultima volta in cui mi sono sentita così sola. Davide ha la scarlattina, il che lo rende agli occhi di tutti un appestato da cui è meglio stare alla larga. E poi chi avrei potuto chiamare al volo, una domenica bollente d’agosto? Di numeri di telefono di mamme che abitano nella mia zona non ne ho e anche se li avessi, queste hanno sicuramente altri programmi. Fare le cose “spontan” qui non si usa. Per andare al parco giochi, a bere un caffè, a fare shopping, è necessario prendere accordi tempo prima. Pianificare. Chiamare una mamma e dire “ciao, non hai niente da fare? Ci troviamo tra mezz’ora al parchetto se vuoi” è fuori discussione, non ci stanno, non sono pronte. Oppure ti senti dire “eh no, ho già detto a tizia che vado al parco giochi con lei”. E il “vieni con noi?” che a me esce sempre spontaneo secondo il mio carissimo principio più-si-è-meglio-è, non arriva. E così mi ritrovo sola una domenica pomeriggio cocente, con Davide che sta scoprendo la meraviglia del bilinguismo a suon di nein, ja, sì, sitzen, grazie, palla, cacca… ma che di certo non è ancora un amabile conversatore. Siamo andati a prendere un gelato a un chioschetto in fondo alla nostra via e, per far passare il tempo, ci siamo andati a piedi. 100 metri in mezz’ora. Perché lui deve toccare tutte le macchine, osservare ogni insetto, provare ad aprire tutti i portoni. Proprio mentre saltava un gradino davanti al portone azzurro del numero 18, il cui 1 si sta lentamente ripiegando su se stesso, ecco che al primo piano si apre una finestra. E un signore di mezza età in canotta mi guarda e mi chiede se fa caldo. In casa sua è fresco quindi non sa regolarsi. Gli rispondo che si muore di caldo, e dico a Davide di muoversi che è ora di cena. Il signore continua dicendomi che nella sua casa di prima non era così fresco, forse perché era una casa più vecchia. È gentile, mi racconta che ieri era in giro con sua figlia di 6 anni e in effetti faceva caldissimo. E io inizio a pensare che si tratti di un maniaco. Poi mi chiede in che lingua sto parlando con Davide. Hmhmhm mi sembra troppo loquace… e a sentirlo bene ha pure un accento diverso. “Lei non è di Amburgo, vero?”. No, è rumeno. Ah ecco. Perché un amburghese che ti rivolge la parola dal nulla e attacca bottone ancora deve nascere. Riesco a portare Davide fino alla meta. Per fortuna quando sono a casa il telefono squilla due volte. Sono le mie amiche italiane, che di figli da far giocare col mio non ne hanno ma che per fortuna non si sono scordate di me. E tutti i brutti pensieri che hanno avuto 100 metri di strada in mezz’ora per formare una bolla di paranoia nella mia testa sudaticcia se ne vanno. 

Azzurro,
il pomeriggio è troppo azzurro
e lungo per me.
Mi accorgo
di non avere più risorse,
senza di te,
e allora
io quasi quasi prendo il treno
e vengo, vengo da te,
ma il treno dei desideri
nei miei pensieri all'incontrario va.