Das Auto




Braunschweig, 4 agosto 2011

Oggi siamo stati a visitare l’Autostadt di Wolfsburg cioè la città dell’automobile, dove con automobile si intende la Volkswagen (d’ora in avanti VW). A Wolfsburg, posso dirlo senza ferire nessuno, non c’è niente, a parte l’Autostadt. Ok, a dirla tutta c’è anche un castello e un outlet ma per il resto questo centro è dominato dalla fabbrica VW e dalla città sorta davanti ai suoi cancelli 11 anni fa. In realtà non si tratta di una città in senso lato, non vi ci abita nessuno a parte qualche coniglietto, le carpe, qualche oca e altri animali.
L’Autostadt è un’enorme strategia di marketing camuffata in attrazione per grandi e piccini. La maggior parte delle persone va all’Autostadt a ritirare la propria VW appena uscita dalla fabbrica. Per rendere l’attesa ancora più appagante i nuovi proprietari di una Golf, Passat, Polo o qualsiasi altro modello VW passano una giornata a visitare il museo VW e altre installazioni super tecnologiche a tema, a godersi giochi di acqua e luce, a mangiare in uno dei numerosi ristoranti, a passeggiare in un parco talmente pulito che verrebbe voglia di togliersi le scarpe e camminare in punta di piedi per non sgualcire l’erba. I più fortunati possono pure passare una notte in un resort 5 stelle. Ritirare la propria auto è il primo dei motivi per cui la gente va a Wolfsburg. Il secondo motivo che porta a visitare l’Autostadt è la passione per le auto, in particolare le VW. E chi non possiede già una VW di certo avrà voglia di acquistarne una una volta uscito.
Noi una VW manco a farlo apposta ce l’abbiamo ma non è per questo che siamo andati all’Autostadt bensì perché Marcel ci lavora e ci ha fatti entrare gratis.
Pur non avendola girata tutta sono diverse le cose che mi hanno colpita.
Innanzi tutto ho scoperto che a Wolfsburg è pieno pieno di italiani: sono i nostri connazionali emigranti che negli anni del boom economico sono venuti a lavorare in Germania come Gastarbeiter. E infatti il cappuccino del bar all’ingresso era proprio buono, non come certi “schifi” di cui ho parlato qui. Una volta entrati nel museo a tema siamo stati subito fermati da una guida, incuriosita dal look di Davide. “Warum trägt er eine Italien-Mütze? – Perché porta il cappello dell’Italia?”. “Weil er Italiener ist! Perché è Italiano!" rispondo io. “Ahio, e sono italiana pure io, sarda sono!” mi dice gonfia di gioia la signora Piluluddu (o qualcosa di simile). E vai di racconti, è qui da 19 anni, mentre parla non si accorge nemmeno che passa da una lingua all’altra. “Non si direbbe che Davide sia mezzo tedesco” mi dice. Allora io gli levo il cappello e i capelli biondi di mio figlio le fanno ritirare tutto. Mi guarda con la mia stessa rassegnazione e mi dice “pure mia figlia è così”. La simpatica signora Sarda, dicevo, fa la guida per l’installazione dedicata alla ecosostenibilità, una mostra pensata per farti sentire tremendamente in colpa perché magari guidi (ancora) una macchina non VW che quindi consuma più delle nuove VW, non è aerodinamica come le nuove VW, non è leggera come le nuove VW. Ti rimprovera perché mangi prodotti importati, vesti H&M, viaggi con compagnie aeree low cost, guidi in modo poco ecologico (cioè usando l’acceleratore a cavolo). C’è un angolo del museo in cui è possibile guardare le videointerviste a vari esperti di finanza, economia, tecnologia e ambiente. Basta mettersi davanti allo schermo con la loro faccia e premere sul tasto play. La cosa più divertente è che il signore nello schermo aspetta solo il tuo dito per partire e ti attende guardandoti negli occhi. Avete presente i quadri nei film di Harry Potter? Uguale!
Dopo un’ora di visita al museo ci siamo concessi un bel gelato. Ma non un gelato qualsiasi bensì un Eis vom kalten Stein. Praticamente si sceglie il tipo di gelato (io ho preso la vaniglia), si sceglie il “condimento” (ho preso brownies, nocciole caramellate e salsa di lamponi) e il tutto viene mischiato e spatasciato su una lastra ghiacciata, poi messo in un mega waffel e infine coperto da una montagna di panna montata. Fa schifo, non ve lo consiglio…;)
Un’altra cosa che mi è piaciuta molto dell’Autostadt è l’attenzione per i bambini. C’è una piccola scuola guida con tanto di diplomino per educare i futuri possessori di una VW alle regole stradali e una bellissima oasi gioco detta Rumfahrland, ovviamente in tema macchine e guida, in cui lasciar curare gratuitamente i figli mentre i genitori fanno le cose più barbose. L’Autostadt è a anche assolutamente promossa per quanto riguarda i servizi per neonati. Ci sono ascensori ovunque e una sala fasciatoio con salviettine e pannolini gratis.
L’Autostadt è al passo coi tempi e ha una piccola sala dedicata ai social media. Si possono vedere le foto pubblicate dai visitatori su Flickr, quanti fan ha la VW su Facebook e quanta gente ha scritto su Twitter mentre si trovava lì. Pure io tutta entusiasta e presa dalla tecnologia, ho scritto un tweet che è stato direttamente localizzato e proiettato su un mega schermo – poche ore nell’Autostadt e già in pieno lavaggio del cervello...
Siamo anche stati nella parte dedicata al ritiro della VW nuova. Entrando nel padiglione, il felice futuro proprietario è accolto da un intenso “profumo” di auto nuova – Marcel mi ha detto che il profumo viene volutamente diffuso. Una volta salite le scale, il benvenuto è anche visivo: uno schermo annuncia il nome dell’acquirente e il gate in cui andare a ritirare la macchina. Sappiamo che alcuni visitatori hanno passato la notte precedente al ritiro della VW in una splendida camera a 5 stelle. Ma come ha passato la notte la macchina in attesa dei suoi nuovi proprietari? In una torre di cristallo insieme ad altre 400 auto! Le torri con le macchine in attesa sono due e nella foto sono proprio alle spalle di Helmut.